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Nuova legge sull’acqua, cosa cambia e quali le responsabilità dei Comuni

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La nuova legge sull’acqua, varata ieri dall’ARS, rappresenta certamente un grande passo avanti rispetto ai tanti tentativi di privatizzare il bene pubblico essenziale che è l’acqua” dichiarano Leoluca Orlando e Mario Emanuele Alvano, rispettivamente presidente e segretario generale di Anci Sicilia.

“E’ un testo per il quale migliaia di cittadini e movimenti, insieme con decine di enti locali e consigli comunali, hanno dovuto battersi per anni.
Non è certo la legge migliore che avremmo voluto e che avremmo potuto avere – continuano Orlando e Alvano- ma se si tiene conto dei continui tentativi di affossamento portati avanti da tutti gli Assessori regionali al ramo susseguitisi negli anni, oggi credo che gli enti locali siciliani possano ritenersi soddisfatti.
Proprio agli enti locali spetta ora il ruolo di primo piano di saper dimostrare la capacità e possibilità di una gestione pubblica efficiente ed economica, che servirà a rilanciare le politiche per la pubblicità dei servizi pubblici essenziali”.

La decennale lotta dei movimenti e degli enti locali per l’acqua pubblica ha trovato infatti ieri sera il punto di approdo con l’approvazione del ddl 455 “disciplina in materia di risorse idriche”.
In un contesto nazionale nel quale l’esito dei referendum del 2011 viene aggirato con la legge di stabilità e lo Sblocca Italia per indurre i Comuni a mettere sul mercato i servizi pubblici, la Sicilia infine alza la testa e ribadisce le competenze esclusive in materia di acque pubbliche assegnate dallo Statuto autonomo che ha rango costituzionale.

Malgrado i tentativi di bloccare l’iter della legge attraverso la pregiudiziale su presunti vizi di incostituzionalità presentata dall’MPA, l’Assemblea regionale è andata avanti sul testo esitato dalla IV Commissione ARS, sventando il previsto commissariamento del governo nazionale per ottobre.

La legge approvata ieri, frutto di una mediazione tra le forze di maggioranza, recepisce buona parte dei contenuti della legge di iniziativa Popolare e Consiliare presentata nel 2010, pur riducendone la portata innovativa e riducendo all’uso idropotabile i confini di un testo che prevedeva una visione olistica dell’uso della risorsa e il rispetto delle direttive europee, pone le basi per la gestione pubblica del servizio idrico, legittima i Comuni che in questi anni hanno condotto una battaglia di resistenza rifiutando di consegnare le reti ai privati.

I promotori della legge Popolare e Consiliare, che hanno partecipato attivamente ai lavori della IV Commissione Ambiente nella stesura del testo base, pur cogliendo alcuni limiti oggettivi nel testo approvato dall’Aula, a partire dalla possibilità reintrodotta delle tre forme di gestione, esprimono soddisfazione per il risultato conseguito. La gestione pubblica sarà realizzabile dai comuni in forma singola o associata, non potrà essere sospesa l’erogazione del minimo vitale, si potranno finalmente analizzare nel merito i contratti con i gestori privati e le eventuali inadempienze per verificare le condizioni di recesso.

La parola passa ai Comuni che con grande senso di responsabilità dovranno ora dimostrare che la gestione pubblica e partecipativa può essere più efficiente ed economica di quella privata, non consentendo di lucrare sul bene comune primario e mantenendolo nella disponibilità delle generazioni viventi e future.

“Riteniamo che la partecipazione ed il controllo democratico che era stato previsto con l’art. 3, (e che l’Aula ha bocciato trasversalmente con voto segreto), sia uno strumento fondamentale per una corretta pianificazione delle risorse” – dicono i promotori – ” per questo facciamo appello al Presidente Crocetta affinché si intesti per decreto l’istituzione del tavolo di consultazione permanente sul piano di gestione delle risorse idriche. Si scrive acqua, si legge democrazia” scrive il Comitato promotore legge di iniziativa Popolare e Consiliare Forum Siciliano dei Movimenti per l’Acqua ed i Beni Comuni.


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