Le immagini di morte nei mari dell’Europa del Sud hanno sconvolto tutti. Ma se le stragi a cui, purtroppo, sembriamo esserci abituati da queste parti hanno suscitato la giusta pietas seguita poi da dichiarazioni che troppo spesso sembravano di circostanza, senza delle azioni concrete, adesso la questione immigrazione ha definitivamente coinvolto il Vecchio Continente e varcato anche il Nuovo Mondo.
Secondo il Pentagono, infatti, “va affrontata come un problema generazionale, e organizzarci e preparare le risorse ad un livello sostenibile per gestire (questa crisi dei migranti) per (i prossimi) 20 anni”.
Anche negli Usa, soprattutto fra i vertici militari, si diffonde quindi la consapevolezza che si tratti ” di una vera crisi”. Intanto la Commissione Ue pensa di portare da 32mila a 120mila il numero totale di richiedenti asilo e si ipotizzano sanzioni per quei Paesi che non rispetteranno le quote.
Che l’Italia, e la Sicilia in particolare, siano da anni la prima linea di questo dramma è sotto gli occhi di tutti, ma solo quando l’orrore ha minacciato i confini del cuore del Vecchio Continente la questione è andata oltre la pietas e si immaginano davvero delle prime azioni condivise.
Il dramma dell’immigrazione ha mille sfumature e se in Turchia si piange per le piccole anime che hanno perso la vita da noi ci si interroga su come continuare a gestire il problema divenuto ordinaria amministrazione di una straordinaria emergenza.
Ecco perché sono opportune le parole che l’arcivescovo di Caltagirone, mons. Calogero Peri ha pronunciato nell’omelia dei funerali di Mercedes e Vincenzo Solano, le vittime dell’orrore di Palagonia per cui è sospettato un giovane ivoriano ospite del Cara di Mineo.
“Mentre a Roma e a Bruxelles si litiga a Palagonia e nel canale di Sicilia – ha detto – si continua a morire: si parli di meno, si agisca di più! Questa terra di Sicilia sta diventando un immenso cimitero. Non ci stiamo che qualcuno impunemente può decidere sulla vita e la morte delle persone mentre c’è chi si arricchisce su lacrime e tragedie. Non ci stiamo più a una guerra tra poveri: tra disoccupati del posto e migranti in cerca di lavoro. Si sta creando una nuova civiltà e occorre che questo avvenga nel miglior modo possibile”.
Ciò auspichiamo da queste latitudini,sempre più deserte dove per molti che arrivano dal mare ce ne sono parecchi che vanno via su treni e aeroplani, e che non sia troppo tardi.
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