Il sospetto di incostituzionalità c’era già durante la discussione all’Ars, adesso però qualche dubbio si allunga anche da Roma e nello specifico da Palazzo Chigi che sulla norma che cambia le regole per gli appalti in Sicilia vuole vederci chiaro.
A finire sotto la lente di ingrandimento della Presidenza del Consiglio sono i nuovi commi 6, 6bis, 6 ter e 6quater all’articolo 19 della Legge regionale 12/2011 che fisserebbero “criteri non conformi a quelli indicati dal medesimo Codice (dei contratti pubblici)”.
Palazzo Chigi, citando anche delle pronunce della Corte Costituzionale, fa rilevare che le nuove modifiche risultano adottate in violazione dell’art.117, comma 2, lett. e), perché lederebbero la concorrenza essendo stato abolito il massimo ribasso ed inseriti dei paletti sulle ‘offerte anomale’ che adesso sono escluse.
L’Ars, con una maggioranza trasversale che è andata dal centrodestra fino a M5S, ha approvato la norma lo scorso 7 luglio, nonostante fosse stata bocciata dall’ufficio legislativo dell’Assemblea che aveva ipotizzato il rischio di incostituzionalità non avendo la Regione competenza esclusiva in materia.
Con l’uscita di scena del Commissario dello Stato, che si occupava di verificare la legittimità costituzionale di quanto prodotto da Sala d’Ercole, è adesso compito del Consiglio dei ministri valutare l’eventuale impugnativa che sarà esaminata nelle prossime ore. Va anche ricordato che i termini (60 giorni) per procedere ad un’impugnativa stanno per scadere.
La contromossa di Palazzo d’Orleans, però, è già scattata. Si vuole fare riflettere Roma sull’opportunità di seguire pedissequamente la legge facendo valere diritti che superano altri diritti. Perché è opinione dell’assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, che questa nuova norma sia una sorta di scudo contro la mafia che invece ‘brinderebbe qualora fosse impugnata’.
“E’ vero che invitando molte aziende c’è più concorrenza, – spiega Pizzo – ma va ricordato soprattutto al legislatore europeo che da queste parti ci sono imprese che fanno riferimento a soggetti mafiosi e che fanno cartello. In Europa magari ci sarà la corruzione negli appalti, ma non c’è la mafia che li condiziona!”
Da un punto di vista tecnico-giuridico, l’esponente del governo Crocetta traccia una linea fra passato e presente: “Il commissario dello Stato – dice – faceva da filtro in modo intelligente, mediando fra le leggi costituzionali e i problemi di questo territorio. Era una figura di altissimo livello che riusciva a mediare; se invece come sta accadendo questi temi passano da figure che non conoscono il territorio ovviamente si arriva alla banalità della burocrazia”.
Come se ne esce? Pizzo ha un’idea che intende rimarcare anche a Roma, dove in sede di Consiglio dei ministri può partecipare il presidente della Regione Siciliana. “Riteniamo – spiega l’assessore – che in questo caso non ci sia nessuna lesione della concorrenza, che da queste parti viene esercitata dalla mafia proprio negli appalti, ma se davvero ci fosse, come ha rilevato più volte la stessa Corte Costituzionale, vige il principio che l’interesse della collettività e alla legalità superi altri diritti”.
L’esempio che Giovanni Pizzo propone è quello dello scioglimento dei Comuni in odore di mafia dove comunque il diritto ad essere eletto è costituzionalmente garantito: “Come mai – si chiede l’assessore – lo Stato scioglie per mafia consigli comunali regolarmente eletti? Perché c’è un principio di tutela nei confronti di un territorio. La stessa cosa vale per gli appalti…”
Nonostante la severità della legge e i tempi piuttosto risicati, Pizzo appare fiducioso: “Non credo che lo Stato voglia favorire la mafia, ma rischia di pagare una certa superficialità da post ferie d’agosto. Quindi a Renzi, in un tweet, dico: occhi alla palla, che in questo caso è la legalità”.
Intanto, appena la notizia è trapelata, l’Ance Sicilia (che ha fortemente voluto la nuova norma) è insorta e una cinquantina di imprenditori edili siciliani si sono incatenati davanti all’assessorato alle Infrastrutture per dire no a una possibile impugnativa.
I costruttori dicono che “dalla sua entrata in vigore la riforma ha dimostrato di produrre gli effetti sperati. Infatti, le prime sette gare sono state aggiudicate con ribassi ragionevoli che tengono conto dell’analisi del progetto e non della previsione statistica al rialzo, non si sono registrati ricorsi che allungano i tempi di apertura dei cantieri e i costi di amministrazioni e imprese, e finalmente hanno cominciato a vincere imprese diverse dai soliti noti”.
Ciò che l’Ance rileva e che “nel giorno in cui il Presidente della Repubblica ha ricordato il sacrificio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il governo nazionale – quello delle riforme, della legalità e dello sviluppo – ha comunicato alla Regione siciliana l’intenzione di impugnare la riforma davanti alla Corte costituzionale, quella che, nella sentenza numero 288 del 2007, ha scritto che l’esigenza di contrasto all’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti “costituisce interesse prevalente”.
La nota dei costruttori dell’Isola ricorda che “la legge siciliana, espressione della potestà legislativa esclusiva in materia così come recita lo Statuto autonomistico, ha finalmente affermato la legalità e la concorrenza in un settore profondamente corrotto; eppure il Consiglio dei ministri la vuole bloccare appellandosi alle norme europee in materia di concorrenza”.
Insomma sul caso si preannuncia uno scontro forte e sarà difficile capire se varrà la regola delle regole “dura lex sed lex” o quella del buon senso.