Un patrimonio da sei milioni e settecento mila euro sottratto alla mafia, quello confiscato dalla Dia di Catania perché riconducibile a Giuseppe Faro, imprenditore nel settore dell’edilizia e del movimento terra, ritenuto vicino all’organizzazione mafiosa facente capo al clan La Rocca di Caltagirone affiliata alla potente famiglia mafiosa Santapaola di Catania.
Il patrimonio è costituito da quote societarie e numerose società attive nel settore edile-immobiliare, terreni, immobili e fabbricati nei comuni di Palagonia, San Zenone degli Ezzelini (Tv), Albignasego (Pd), Surbo (Le), autocarri e autovetture, oltre a rapporti bancari e postali su tutto il territorio nazionale.
Oltre alla confisca dei beni, Giuseppe Faro, è stato sottoposto alla sorveglianza speciale per due anni, con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza e al pagamento di una cauzione da 5mila euro.
Le indagini di natura economico-finanziaria e patrimoniale riguardano il periodo compreso tra il 1992 ed il 2011 sono state finalizzate a rilevare la capacità reddituale di Faro e del suo nucleo familiare.
I riscontri hanno permesso di accertare forti profili sperequativi tra i redditi dichiarati e il patrimonio posseduto costruiti sull’organico e prolungato rapporto di frequentazione di Faro con esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Catania e Caltagirone.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’imprenditore dopo avere costituito imprese e società operanti soprattutto nel settore dell’edilizia e del movimento terra e con la disponibilità di due cave estrattive a Palagonia e Licodia Eubea, dopo l’arresto nel 2001, ha preferito ‘eclissarsi’ dalla scena economica, delegando a moglie e figli il compito di incrementare il patrimonio di famiglia, investendone i frutti nell’acquisto di quote societarie, nella titolarità di imprese, nell’acquisto di numerosi immobili e autoveicoli.
Giuseppe Faro, 58 anni, che annovera una condanna per una serie di rapine ai danni di autotrasportatori, è stato coinvolto nell’operazione di polizia denominata Calatino, condotta dalla Dia di Catania nel 2000 nei confronti del clan mafioso operante nel territorio di Caltagirone e comuni viciniori, storicamente capeggiato dal potente e considerato boss Francesco La Rocca, emerso anche in numerosi “pizzini” della corrispondenza con Bernardo Provenzano.
Faro è stato giudicato e condannato, con rito abbreviato, alla pena di anni 3 di reclusione per il reato di estorsione in concorso, con l’aggravante mafiosa.
Seppur non colpito da provvedimenti giudiziari, la figura di Faro emerge anche nell’operazione Iblis, nell’ambito della quale da una conversazione ambientale, Faro viene indicato come persona su cui il noto boss Vincenzo Aiello, all’epoca rappresentante provinciale di “Cosa Nostra”, poteva contare per l’aggiudicazione, illecita, di gare di appalto.
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