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Stop alla legge regionale sugli appalti Arriva da Roma l’impugnativa

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Sembrava che i problemi fossero stati risolti, invece, Roma non si fida di Palermo ed impugna, nonostante le rassicurazioni, la legge regionale sugli appalti. Il Consiglio dei ministri nella sua ultima riunione ha deciso lo stop  ”inquanto, sul piano strettamente tecnico, la disposizione è in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione” ovvero viola i principi di libera concorrenza materia, peraltro, di esclusiva pertinenza dello Stato.

Ma l’impugnativa romana è soft. Appare, piuttosto, come una sorta di ‘ferro dietro la porta’. Insomma il Consiglio dei Ministri avvia le procedure ma è pronto a ritirarle se la norma sarà modifica come Palermo ha promesso.

“Pur prendendo atto della lettera del presidente della Regione Siciliana con la quale si impegna a portare alcune modifiche alla legge – si legge nel provvedimento di impugnativa – si procede per questioni squisitamente tecniche”

Per evitare lo scontro, però, il Consiglio dei Ministri conferma l’apertura di un tavolo di confronto istituzionale con la Regione “per procedere
all’individuazione di possibili soluzioni concordate in merito alla questione”.

La Regione incassa l’apertura ma anche la bacchettata e si dice preoccupata per la censura: “Le imprese e gli occupati continuano a perdere terreno”. In linea con le preoccupazioni dell’Ance che aveva già denunciato i colpi che avrebbero subito il settore e la lotta per la legalità in un comparto particolarmente inquinato.

“Apprezziamo l’inusuale concessione di un momento di confronto ulteriore  e il fattivo spirito di collaborazione nel trovare una soluzione che renda compatibili le norme nel rispetto delle autonome potestà legislative - dice l’assessore Pizzo che aveva curato la trattativa per evitare l’impugnativa – ma sottolineiamo l’urgenza improcrastinabile di dare una concreta risposta all’asfissia economica di un settore che l’anno scorso ha lasciato sul terreno oltre 10.000 occupati e che anche ai sensi delle relazioni antimafia e delle informative del ministero degli Interni rimane un settore ad alto tasso di inquinamento da parte dei cartelli imprenditoriali mafiosi che quelli che soffocano la concorrenza degli imprenditori onesti sfruttando i ribassi anomali e condizionando l’intero sistema”.

“Riteniamo – conclude Pizzo - che da un confronto leale ed aperto sulle possibili soluzioni faremo il bene della Sicilia e dello Stato Italiano”.

Per i 5 stelle che avevano appoggiato e fortemente voluto questa norma si tratta di un attacco politico alla Sicilia e non di una scelta tecnica. “La lettura delle motivazioni, che non entrano nel merito degli approfondimenti giuridici prodotti a supporto della legge 14 e chiesti da palazzo Chigi – afferma il primo firmatario della legge Sergio Tancredi – mi fanno pensare che le motivazioni siano esclusivamente politiche, perché si vuole evitare che la Sicilia riaffermi il proprio diritto a legiferare, anche nelle materie concorrenti, peculiarità dataci dal nostro statuto, che da più parti ultimamente viene attaccato. Questo è l’ultimo di una serie di sfregi del governo Renzi alla Sicilia e all’economia siciliana. Mi aspetto che Crocetta difenda la legge chiedendo alla Corte costituzionale di pronunciarsi in merito e sono convinto che alla fine la Corte ci darà ragione, anche perché se non lo facesse, alla luce delle precedenti sentenze, smentirebbe se stessa”.

“Quella sugli appalti è una riforma fondamentale per il settore – continua Tancredi – e la recente manifestazione degli imprenditori, che sono arrivati perfino ad incatenarsi per difendere la legge ne è prova lampante. Lo stop farebbe ripiombare nella disperazione tutti gli operatori dell’edilizia, vanificando la possibilità di rilancio del comparto”.
“Da rimarcare – conclude Tancredi – che con la nuova legge i partecipanti alle gare sono aumentati sensibilmente, confermando che l’auspicio di un incremento di competitività era corretto e che si tratta di una norma che stimola la libera concorrenza, ampliando la platea dei soggetti che possono aspirare all’aggiudicazione”.

“Conferma le conseguenze negative dell’eventuale stop l’assessore ai Lavori pubblici di Ragusa, Salvo Corallo: “Molte aziende avevano ritrovato lo stimolo a partecipare alle gare. Solo nel nostro Comune alcuni grossi lavori ora potrebbero fermarsi. La riforma garantiva, oltretutto, la qualità dei lavori, in quanto non costringeva gli imprenditori a ricorrere a risparmi sui materiali per ottenere i maggiori ribassi”.

Questo il commento integrale dell’Ance Sicilia: “La riforma regionale degli appalti pubblici continuerà a restare in vigore nonostante l’impugnativa del governo nazionale, e ciò fino alla sentenza della Corte costituzionale, non prima di 8-12 mesi, cioè nel termine entro il quale comunque l’Ars avrebbe dovuto adeguare la norma alla riforma nazionale di prossima emanazione.

Dunque, in Sicilia tutte le gare d’appalto continueranno naturalmente ad essere aggiudicate secondo i nuovi criteri di legalità e trasparenza dettati dalla vigente legge. Nel frattempo sarà possibile raccogliere statisticamente le risultanze delle gare e continuare a dimostrare con i fatti che la riforma impedisce la formazione di cordate e impone l’aggiudicazione solo ad imprese sane che rispettano le regole e che eseguono correttamente i lavori e che, pertanto, non possono presentare ribassi superiori ad ogni ragionevole margine.

La bontà di questa riforma – fortemente voluta non solo dal governo regionale e da tutte le forze politiche dell’Ars, ma soprattutto da tutte le associazioni di imprenditori, dagli ordini professionali e dai sindacati aderenti alla Consulta regionale delle costruzioni – è riconosciuta dallo stesso governo nazionale nella nota di Palazzo Chigi, nella quale si spiega anche che l’impugnativa vuole fare chiarezza solo sul principio della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza ed è, quindi, un atto dovuto.

Infatti, rappresenta un precedente assoluto e un’importante novità il fatto che nella stessa nota il governo affermi di volere aprire un dialogo col governo regionale al fine di individuare una soluzione concordata. Ciò non solo avvalora la nostra convinzione che da parte di Palazzo Chigi vi sia la medesima volontà di garantire trasparenza e legalità negli appalti a discapito dei grandi gruppi speculativi e delle realtà criminali, ma ci rassicura soprattutto sulla possibilità che molto prima della sentenza della Consulta le parti riusciranno a scrivere un testo che, modificando la riforma regionale, rappresenti anche un modello per quella nazionale.

Siamo infatti in presenza di valori condivisi che non possono essere espressi da modelli normativi, nazionale e regionale, che confliggono fra loro, e sarà un obiettivo sicuramente raggiunto il fatto che le due future riforme si fondano fra loro in un unicum.

Non è un caso, fra l’altro, che i principi da noi fortemente voluti nella riforma approvata dall’Ars sono contenuti nella proposta che l’Ance nazionale ha presentato come contributo alla riforma nazionale degli appalti, al punto che la riforma regionale ha ricevuto pieno e convinto sostegno dall’Ance nazionale in due note inviate al ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Claudio De Vincenti.


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